agosto 2012
Lampedusa in festival con le Città Vicine
cronaca di Bianca Bottero e Anna Di Salvo
Lampedusa è un’isola austera color terra. Anche il paese, raccolto a sud attorno al vecchio e al nuovo porto, non ha alcuna “carineria” mediterranea, non fiori alle finestre e poco il verde nelle vie principali e nelle piazze, forse anche per improvvidi passati interventi che agli alberi hanno preferito opere di scultori famosi, un po’autoreferenti: Cascella, Pomodoro…; non bianche le case, ma color terra anch’esse, disposte a scacchiera, tutte a uno/due piani, appoggiate su alti zoccoli che le distanziano dalla carreggiata, ventilate attraverso sapienti pozzi di luce, corti interne. Intorno un paesaggio ondulato, brullo, pietre e argilla e improvvise oasi intense di pini, di palme, di cipressi orlato da un mare blu cobalto, verde, azzurro, bianco, riempito di profumi di menta, origano, lavanda, inondato da una luce limpidissima…
Qui, mentre i drammatici recentissimi eventi sembrano d’incanto svaniti, lasciando solo come artistici objets trouvés alcune carcasse di barconi, abbiamo vissuto per la seconda estate consecutiva, dal 19 al 23 luglio, la “Vacanza Politica della Rete delle Città Vicine” nell’affascinante cornice del Lampedusa in festival, un festival che aveva come titolo “L’Incontro con l’Altro. Momenti di cinema, cultura e integrazione a Lampedusa”: una importante e consapevole testimonianza di chi non vuole dimenticare e sa fare della storia un fattore fondamentale di crescita civile e simbolica. Difficile dunque restituire in breve le intrecciate riflessioni emerse dai dibattiti, dai filmati, dai documentari, dalle presentazioni di libri e dalle discussioni che si sono succedute ogni sera e talvolta anche al mattino in luoghi di grande suggestione, come la Cala Palme presso il porto vecchio e la piazza del Castello, posta al colmo della via principale del paese, affacciata sul mare, o all’Isola dei Conigli, rifugio protetto di tartarughe. Vale l’emozione di riferirne, ricordando la prima magica giornata, presso la Porta d’Europa, scultura di Mimmo Paladino dove, dopo un intenso saluto della nuova sindaca Giusi Nicolini, cara amica della nostra Rete, e dei rappresentanti delle associazioni promotrici – l’Associazione Culturale lampedusana Laskavusa guidata dal pittore, poeta e cantautore Giacomo Sferlazzo, Amnesty International, AMM, ARCI, RECOSOL – si è imposta sullo sfondo di mare, di sole, di pietre la figura bianca, ieratica di Mohamed Ba nella performance “Invisibili”, epopea dolente della stirpe nera.
Vale anche ricordare i molti documenti presentati, tutti ben lontani da un certo buonismo di maniera ma piuttosto impegnati a ribaltare stereotipi di linguaggio, di cultura, di comportamento a fronte di contesti così radicali, a situazioni così rivoluzionarie come quelle di cui l’isola è stata teatro, protagonista e vittima. Avvenimenti sui quali né in generale i media né tantomeno la politica hanno svolto finora una elaborazione adeguata e per i quali mancano ancora non solo i più elementari supporti giuridici – come hanno ben sottolineato alcuni relatori – ma addirittura le parole per descrivere e interpretare l’anelito di giustizia e di libertà che li attraversa. Un anelito che soprattutto appare evidente nelle storie al femminile, in cui le donne emergono in un confronto serrato e doloroso con le proprie tradizioni e tuttavia forti e decise nelle loro lotte.
Ricordo alcuni significativi titoli di testi presentati: La frontiera abitabile, di Dario Vicari; Luoghi migranti. Tra clandestinità e spazi pubblici, di Gianluca Gatta; Tre donne una sfida, di Marisa Paolucci; Horreya! di Valeria Brigida e Carmine Cartolano; Appuntamento a La Goulette, di Franco Blandi che, col documentario Kifkit, siciliani in Tunisia, testimonia delle migrazioni verso la Tunisia a fine ottocento dalla Sicilia e dalla stessa Lampedusa.
È stato dato spazio anche al nostro libro (a cura di Bianca Bottero, Anna Di Salvo e Ida Farè) Architetture del desiderio, che come Anna Di Salvo ha sottolineato, illustra il contributo della Rete delle Città Vicine per un intreccio della politica delle donne tra città che attraversi l’Italia, l’Europa, il Mediterraneo in una gestione aperta, libera e creativa dello spazio pubblico, fondata sui legami e sulla sensibilità femminile della relazione. E proprio mantenendoci in ammirazione per quanto stavamo vedendo e facendo, affascinate dalla storia, dalle bellezze dell’isola, ma attente alle sue trasformazioni, noi sette donne, tra le quali cinque architette, siamo trasecolate di fronte a certe vistose strutture metalliche che occupavano lo spazio centrale di via Roma, il “decumano massimo” di Lampedusa, lungo il quale si svolge il principale flusso di passeggio e di ritrovo dei lampedusani e dei turisti. Questi scheletri di ferro, sui quali i bambini avevano preso a esercitarsi pericolosamente con i loro giochi acrobatici, avrebbero dovuto diventare, nell’ipotesi dissennata della precedente amministrazione, delle gigantesche fioriere, ma al momento, oltre che intralciare il percorso, si erano trasformati in enormi contenitori di rifiuti. Noi sette abbiamo espresso con forza anche con proposte estreme (come quella di smontare nottetempo qualcuna di queste strutture), la nostra critica, che abbiamo discussa con alcuni abitanti e appoggiata su una documentazione fotografica. Ed è con grande soddisfazione che, come Giacomo Sferlazzo ci ha recentemente informate, abbiamo saputo che quelle “strane fioriere” sono state rimosse: merito della sensibilità della nuova amministrazione e della nuova sindaca sensibile agli intrecci di relazioni quando queste mettono in moto l’assennatezza e l’intelligenza nell’interpretare e rispettare la bellezza, i luoghi e gli uomini e le donne che li vivono.