giovedì 1 dicembre 2011

La città e il sapere del lavoro nell’esperienza delle Città Vicine

Da quando, nel 2000, da Catania, Catanzaro, Foggia, Roma, Milano... ha avuto inizio la politica delle Città Vicine, il centro dell’interesse comune è stato la città, la città come centro della vita (vedi la presentazione in Mappamonda, www.libreriadelledonne.it). Anche il tema del lavoro, proposto dal Gruppo Lavoro di Milano, l’abbiamo visto in questa chiave. Per esempio a Catania è sorto un gruppo composto da donne giovani e anziane, libere professioniste e impiegate, in cui si è riflettuto su come il lavoro, le difficoltà che presenta e le gioie che crea, la sua mancanza o il suo eccesso, interagiscano sulle nostre vite. Con questo gruppo e grazie anche alla mediazione e alla collaborazione di Giusi Milazzo della segreteria confederale della CGIL di Catania (che ha acquistato per conto della CGIL e fatto circolare al sindacato il Quaderno di Via Dogana Parole che le donne dicono nel mondo del lavoro oggi), che si è interrogata sul suo ruolo di donna sindacalista e ne ha discusso con le donne del sindacato, abbiamo organizzato nella sede della CGIL due grossi incontri: la presentazione del Quaderno di Via Dogana Il doppio sì e la giornata nazionale di presentazione del Sottosopra Immagina che il lavoro. Gli incontri hanno suscitato molto interesse, a volte qualche polemica, e sicuramente hanno avuto un grande risalto in città, riecheggiato anche nella stampa locale (grazie alle relazioni con alcune giornaliste, in particolare Pinella Leocata del giornale “La Sicilia”).

Sull’economia, nel 2007 le Città Vicine avevano organizzato insieme ad altre realtà il convegno La vita alla radice dell’economia (gli atti, a cura di Vita Cosentino e Giannina Longobardi, sono stati pubblicati dalla Mag di Verona). L’incrociarsi dei temi del lavoro e dell’economia con l’interesse per la città ha fatto sì, a nostro avviso, che le Città Vicine possano significare un nuovo spazio in cui prendere atto delle trasformazioni che grazie alla nostra presenza di donne nel mondo del lavoro abbiamo portato nei nostri ambiti, e inoltre ricongiungere in una focalizzazione nuova i fili di esperienze ed elaborazioni dei decenni precedenti, dagli approfondimenti della Merlettaia di Foggia sul lavoro delle migranti in Puglia alle pratiche delle Vicine di casa di Mestre, all’“autoriforma della scuola” in varie parti d’Italia, per citarne solo alcune.

L’idea di una giornata promossa dal Gruppo Lavoro di Milano in contemporanea in tante città italiane per la presentazione del Manifesto Immagina che il lavoro, è sembrata a molte legata a tutto ciò e con un di più: far vivere nella simultaneità dell’evento proprio quella vicinanza tra città che cerchiamo di realizzare. Quello che possiamo dire per ora è che dagli incontri organizzati dalle varie realtà sono emersi dati comuni. Ad esempio, si è constatata la capacità che molte giovani nelle loro attività hanno di coniugare in maniera intelligente lavoro e vita, eliminando i tempi morti e trasformando il lavoro in piacere e non in uno spazio-tempo tiranno. Si è confermato che la condizione del precariato nel lavoro, per le donne, non costituisce unicamente una sventura ma consente di vivere spazi di vera libertà, anche oggi. Ma si è visto anche che molte giovani, benché consapevoli, non hanno forti legami tra di loro né forza contrattuale per cui non trovano il coraggio di affrontare la questione dell’organizzazione con i loro datori di lavoro. Dinamiche positive si sono create nelle discussioni del Manifesto nelle scuole (vedi “Catanzaro. Una nuova relazione tra generazioni”, Pausa lavoro, Via Dogana n. 81, dicembre 2009), che fanno pensare che la scuola possa acquistare centralità nella città delle donne. Ascoltando le difficoltà che molte ragazze trovano nella rigida organizzazione didattica per tenere insieme impegno scolastico e desideri di fare altro, ci si è trovate concordi nell’individuare in questo disagio espresso e ascoltato l’apertura di un nuovo spazio relazionale e la possibilità di un nuovo impegno a cambiare la scuola, i suoi tempi e spazi, per salvare il piacere di imparare - di lavorare - oggi e domani. In tutti questi incontri, infine, possiamo dire che si è rafforzata l’intuizione che la città è lo scenario deputato a scambiare le esperienze lavorative delle donne e a far circolare il senso ricavato dal loro agire in modo che diventi civiltà.


Mirella Clausi, Anna Di Salvo, Franca Fortunato

mercoledì 2 novembre 2011

Lampedusa la desiderata


A partire dal febbraio scorso, ho seguito la vicenda degli innumerevoli sbarchi dei migranti a Lampedusa che tanta ansietà e pareri discordi hanno causato soprattutto tra gli abitanti dell’isola, i quali, malgrado il disagio che stavano attraversando, hanno manifestato solidarietà e senso d’accoglienza nei confronti degli uomini e delle donne venute dal mare, provvedendo ai loro bisogni primari e alla loro sopravvivenza, cosa che lo Stato e gli organismi incaricati, non avevano provveduto a fare. Nel frattempo nella “terramadre Sicilia”, esattamente al villaggio degli Aranci di Mineo, trasformato in Centro d’accoglienza, io avevo incontrato donne e uomini provenienti da paesi sub sahariani e d’oriente, intraprendendo con loro un rapporto empatico e di scambio. In seguito a questi eventi e incontri, indagando da un punto di vista differente la questione dei migranti e di Lampedusa, insieme alle donne e agli uomini della rete delle Città Vicine, abbiamo deciso di trascorrere proprio in quell’isola pelagica dal 20 al 27 agosto la nostra tradizionale Vacanza Politica dandole il titolo Lampedusa mon amour, «per essere presenti in quella “terra di confine” e sentirci vicine agli abitanti coraggiosi dell’isola e alle donne, uomini e bambini che in quei viaggi della speranza rischiano la vita in mezzo al mare», come dicevamo nel volantino che motivava gli intenti della vacanza. E ancora, «perché Lampedusa è una bellissima isola da visitare e godere che speriamo diventi un luogo reale e simbolico collegato alle Città Vicine, dove mettersi in gioco per dare vita a un salto di civiltà».

È avvenuto così che 8 donne, Mirella Clausi, Anna Di Salvo della Città Felice di Catania insieme a Giusi Milazzo della CGIL di Catania, Sandra De Perini, Cristina Bergamasco e Laura Bellodi delle Vicine di Casa di Mestre, Franca Fortunato delle Donne di Catanzaro e Loredana Aldegheri della MAG di Verona, ci siamo ritrovate al villaggio La Roccia da dove ci spostavamo per visitare, dietro le indicazioni dei giovani dell’associazione Askavusa, i posti più autentici e meno frequentati dell’isola, evitando spiagge e siti invasi da turisti, situazione che bene ci mostra il regista Emanuele Crialese nel suo film Terraferma, presentato alla Mostra del cinema di Venezia e candidato ai premi Oscar. Sempre al villaggio La Roccia abbiamo cercato di tenere alto il livello degli incontri tra noi guardando le problematiche dell’isola con le chiavi di lettura della nostra politica, mettendo a fuoco quanto potrebbe essere di giovamento agli abitanti dell’isola assumere nel profondo il senso della vicinanza geografica di Lampedusa con l’Africa, dando vita in questo senso a progetti e pensieri affinché il passaggio dei migranti venga visto come una risorsa piuttosto che come una sventura. I racconti delle reciproche pratiche politiche e le analisi sulle nuove forme d’economia, sull’individuazione del bene comune, il lavoro che cambia e l’arte legata al territorio, hanno arricchito le nostre discussioni serali e mattutine. Andando in giro per mare e per terra, abbiamo interrogato e ascoltato le motivazioni, i bisogni e le necessità di donne e uomini di Lampedusa che partendo da vite ed esperienze diverse (come quella dell’anziano barcaiolo Giovanni che durante il giro dell’isola in barca ci ha narrato di sé e dei suoi incontri con dei naufraghi nel canale di Sicilia), ci hanno mostrato il modo con il quale ciascuno recepisce e affronta il problema degli sbarchi, dei profughi, e del turismo. L’unico dato certo sul quale tutti convenivano – inteso positivamente da coloro che temono la presenza dei migranti a causa del calo di turisti, e negativamente da quelli che investono nelle relazioni e nell’integrazione tra i popoli – era che noi, di migranti a Lampedusa ne avremmo incrociati ben pochi, perché appena sbarcati sull’isola, venivano condotti da soldati e carabinieri a contrada Imbriacole, in una vecchia struttura militare riadattata a centro d’accoglienza o sulla nave ancorata a cala Pisana, che li avrebbe smistati in altri centri. Gli incontri che abbiamo avuto a Lampedusa con figure significative di associazioni o di luoghi istituzionali, ci sono stati facilitati da donne e uomini di alcune realtà politiche di Catania, con i quali collaboriamo, come: Giusi Milazzo della CGIL, Alfonso Di Stefano della Rete antirazzista e Tuccio Giuffrè del circolo Rosa Luxemburg, pratici dell’isola e impegnati da tempo sulla questione dei migranti. Abbiamo fatto così la felice conoscenza di Giusi Nicolini di Legambiente (vedi su Via Dogana n. 99, dicembre 2011, il testo nato dalla discussione con lei), che con Paola La Rosa oltre a salvaguardare il territorio, le spiagge e le tartarughe “caretta caretta”, lavora da anni per difendere l’immagine dell’isola quale approdo sicuro per chiunque vi arrivi e per valorizzare l’atavico senso d’accoglienza della sua gente. Andrea Pavia ci ha accolte nella sede dell’associazione Askavusa dove era stata allestita una bella mostra sui fugaci arrivi e partenze dei migranti sull’isola, presentandoci altri giovani che lavorando con lui a favore di un turismo sostenibile potenziano la loro politica con pratiche e linguaggi creativi (voglio ricordare le magliette che tutte abbiamo acquistato con su scritto: «Vieni a Lampedusa»), grazie anche alla presenza tra loro dell’artista Giacomo Sferlazzo che realizza installazioni di grande effetto, utilizzando oggetti che i migranti abbandonano sui barconi insieme a pezzi di relitti naufragati sull’isola che giacciono ammassati al porto, riconoscibili per i decori e le scritte in arabo. Askausa ogni anno a luglio organizza un interessante festival multietnico al quale partecipano registi artisti e scrittori orientali, africani ed europei (wwwlampedusainfestival.it) in un incontro di lingue e di culture atte a confermare Lampedusa nella sua bellezza di “Porta d’Europa”, punto d’approdo del “corridoio umanitario” che scorrendo tra l’Africa e l’Europa vorrebbe rendere liberi gli spostamenti di donne e di uomini tra i due continenti. Anche il consigliere comunale Salvo Caffo e la direttora delle poste, oltre a criticare l’eccesso di sbarchi e di migranti sull’isola, ci hanno fatto una descrizione accurata dei giorni dell’emergenza, quando migliaia di profughi erano stati costretti a inventarsi dei ripari di fortuna su una collina che fu poi soprannominata “della vergogna”. Sempre da loro abbiamo saputo di fondi stanziati dal consiglio dei ministri e dal ministero dell’ambiente a favore di Lampedusa per incrementare alcune opere infrastrutturali sull’isola e risarcire quegli esercizi commerciali che avevano subito delle perdite a causa del problema degli sbarchi, ma sull’arrivo effettivo dei soldi e sulla loro spartizione le notizie sono ancora nebulose.

Il contesto lampedusano nel suo insieme, ha trasmesso in noi un profondo senso di bellezza ma anche d’umanità dolente, abbiamo visto dipanarsi dinanzi ai nostri occhi una situazione più contraddittoria e tragica di quanto avessimo immaginato. Per questo motivo non abbiamo voluto realizzare le opere visive che avevamo pensato d’installare in alcuni contesti e sul mare di Lampedusa. Abbiamo riposto il materiale artistico che avevamo portato, impegnandoci a portare un contributo politico delle Città Vicine al prossimo festival di luglio per creare ulteriori legami e senso di vicinanza con gli abitanti e le donne e gli uomini che abbiamo visto lavorare alacremente sull’isola, e invitandole/i a venire nelle nostre città per portare la loro testimonianza sul possibile snodo della questione tra abitanti e migranti a Lampedusa.

A Lampedusa le 8 donne delle Città Vicine abbiamo scritto pagine di un diario che vorremmo mantenere vivo con i nostri pensieri e le belle foto scattate in quei giorni, soprattutto dopo gli incresciosi fatti che si sono verificati in seguito alla rivolta dei migranti sull’isola in settembre. Disordini e violenze di cui Giusi Nicolini, addoloratissima, mi ha parlato per telefono, descrivendomi il senso di vuoto e di perdita provato, rientrato rientrato in parte dopo la ripresa fiduciosa del suo lavoro insieme a Paola La Rosa e la speranza di significare con l’aiuto di alcune donne migranti stabilitesi sull’isola scambi culturali e buone forme di convivenza.

Anna Di Salvo
2/11/2011