sabato 15 settembre 2012

UN IMPEGNO COMUNE

Abbiamo letto l’intervista a Giusy Nicolini apparsa su questo giornale dell’ 8.09.2012 e scriviamo per dire che ne condividiamo le analisi e le denunce che lei avanza in riferimento alle continue tragedie di migranti nel Mediterraneo, considerate dai più “ineluttabili” e pertanto foriere di indifferenza generale. Conosciamo Giusy Nicolini per aver realizzato a Lampedusa due vacanze politiche, come rete delle Città Vicine, di cui l’ultima quest’anno, dal 19 al 23 luglio, in occasione del Lampedusa in festival. Invitate da Giacomo Sferlazzo e dall’associazione Laskavusa a presentare il nostro libro “Architetture del desiderio”, Liguori 2011, abbiamo seguito intensamente il festival dal titolo “L’incontro con l’Altro. Momenti di cinema, cultura e integrazione a Lampedusa”: una importante e consapevole testimonianza di chi non vuole dimenticare e sa fare della storia un fattore fondamentale di crescita civile e simbolica. Condividiamo l’idea, espressa da Giusy Nicolini, che “i morti in mare non si vedono, non c’è la fila di bare per commuoversi” e, pertanto, non generano indignazione né proteste i tanti corpi di donne , uomini e bambini inghiottiti dal mare. Noi, che da anni pratichiamo la politica delle relazioni umane, sentiamo l’ingiustizia e l’inumanità di leggi quali la Bossi – Fini e di trattati internazionali come il Trattato di Schengen, che “chiude le porte all’Africa”, e condividiamo il giudizio della sindaca di Lampedusa, quando dice che “il nostro ormai è un paese incattivito da anni e anni di politiche sbagliate, non solo verso gli africani, cova un sentimento di ostilità verso chiunque viene percepito come diverso, contro i gay, contro i rom..”. Nei nostri soggiorni a Lampedusa abbiamo potuto vedere la solidarietà di un’isola che, storicamente, è stata “porta della vita” e i cui pescatori, sub, semplici cittadini, ancora oggi – come Giusy dice nell’intervista - “ spesso si alzano all’improvviso alle 5 del mattino e prendono le barche per soccorrere i migranti”. Da anni, come lei, siamo impegnate come Città Vicine a chiedere “un cambio radicale delle politiche dell’immigrazione” per abbattere ogni frontiera e fare delle città luoghi aperti, di accoglienza e d’incontro, per chi e con chi decide di transitare sul nostro territorio o di restarci a vivere.

Franca Fortunato – Anna Di Salvo – Lina Scalzo della rete delle Città Vicine

Cropani (Cz) 09.09.2012


Lampedusa in festival con le Città Vicine

agosto 2012



Lampedusa in festival con le Città Vicine


cronaca di Bianca Bottero e Anna Di Salvo



Lampedusa è un’isola austera color terra. Anche il paese, raccolto a sud attorno al vecchio e al nuovo porto, non ha alcuna “carineria” mediterranea, non fiori alle finestre e poco il verde nelle vie principali e nelle piazze, forse anche per improvvidi passati interventi che agli alberi hanno preferito opere di scultori famosi, un po’autoreferenti: Cascella, Pomodoro…; non bianche le case, ma color terra anch’esse, disposte a scacchiera, tutte a uno/due piani, appoggiate su alti zoccoli che le distanziano dalla carreggiata, ventilate attraverso sapienti pozzi di luce, corti interne. Intorno un paesaggio ondulato, brullo, pietre e argilla e improvvise oasi intense di pini, di palme, di cipressi orlato da un mare blu cobalto, verde, azzurro, bianco, riempito di profumi di menta, origano, lavanda, inondato da una luce limpidissima…

Qui, mentre i drammatici recentissimi eventi sembrano d’incanto svaniti, lasciando solo come artistici objets trouvés alcune carcasse di barconi, abbiamo vissuto per la seconda estate consecutiva, dal 19 al 23 luglio, la “Vacanza Politica della Rete delle Città Vicine” nell’affascinante cornice del Lampedusa in festival, un festival che aveva come titolo “L’Incontro con l’Altro. Momenti di cinema, cultura e integrazione a Lampedusa”: una importante e consapevole testimonianza di chi non vuole dimenticare e sa fare della storia un fattore fondamentale di crescita civile e simbolica. Difficile dunque restituire in breve le intrecciate riflessioni emerse dai dibattiti, dai filmati, dai documentari, dalle presentazioni di libri e dalle discussioni che si sono succedute ogni sera e talvolta anche al mattino in luoghi di grande suggestione, come la Cala Palme presso il porto vecchio e la piazza del Castello, posta al colmo della via principale del paese, affacciata sul mare, o all’Isola dei Conigli, rifugio protetto di tartarughe. Vale l’emozione di riferirne, ricordando la prima magica giornata, presso la Porta d’Europa, scultura di Mimmo Paladino dove, dopo un intenso saluto della nuova sindaca Giusi Nicolini, cara amica della nostra Rete, e dei rappresentanti delle associazioni promotrici – l’Associazione Culturale lampedusana Laskavusa guidata dal pittore, poeta e cantautore Giacomo Sferlazzo, Amnesty International, AMM, ARCI, RECOSOL – si è imposta sullo sfondo di mare, di sole, di pietre la figura bianca, ieratica di Mohamed Ba nella performance “Invisibili”, epopea dolente della stirpe nera.

Vale anche ricordare i molti documenti presentati, tutti ben lontani da un certo buonismo di maniera ma piuttosto impegnati a ribaltare stereotipi di linguaggio, di cultura, di comportamento a fronte di contesti così radicali, a situazioni così rivoluzionarie come quelle di cui l’isola è stata teatro, protagonista e vittima. Avvenimenti sui quali né in generale i media né tantomeno la politica hanno svolto finora una elaborazione adeguata e per i quali mancano ancora non solo i più elementari supporti giuridici – come hanno ben sottolineato alcuni relatori – ma addirittura le parole per descrivere e interpretare l’anelito di giustizia e di libertà che li attraversa. Un anelito che soprattutto appare evidente nelle storie al femminile, in cui le donne emergono in un confronto serrato e doloroso con le proprie tradizioni e tuttavia forti e decise nelle loro lotte.

Ricordo alcuni significativi titoli di testi presentati: La frontiera abitabile, di Dario Vicari; Luoghi migranti. Tra clandestinità e spazi pubblici, di Gianluca Gatta; Tre donne una sfida, di Marisa Paolucci; Horreya! di Valeria Brigida e Carmine Cartolano; Appuntamento a La Goulette, di Franco Blandi che, col documentario Kifkit, siciliani in Tunisia, testimonia delle migrazioni verso la Tunisia a fine ottocento dalla Sicilia e dalla stessa Lampedusa.

È stato dato spazio anche al nostro libro (a cura di Bianca Bottero, Anna Di Salvo e Ida Farè) Architetture del desiderio, che come Anna Di Salvo ha sottolineato, illustra il contributo della Rete delle Città Vicine per un intreccio della politica delle donne tra città che attraversi l’Italia, l’Europa, il Mediterraneo in una gestione aperta, libera e creativa dello spazio pubblico, fondata sui legami e sulla sensibilità femminile della relazione. E proprio mantenendoci in ammirazione per quanto stavamo vedendo e facendo, affascinate dalla storia, dalle bellezze dell’isola, ma attente alle sue trasformazioni, noi sette donne, tra le quali cinque architette, siamo trasecolate di fronte a certe vistose strutture metalliche che occupavano lo spazio centrale di via Roma, il “decumano massimo” di Lampedusa, lungo il quale si svolge il principale flusso di passeggio e di ritrovo dei lampedusani e dei turisti. Questi scheletri di ferro, sui quali i bambini avevano preso a esercitarsi pericolosamente con i loro giochi acrobatici, avrebbero dovuto diventare, nell’ipotesi dissennata della precedente amministrazione, delle gigantesche fioriere, ma al momento, oltre che intralciare il percorso, si erano trasformati in enormi contenitori di rifiuti. Noi sette abbiamo espresso con forza anche con proposte estreme (come quella di smontare nottetempo qualcuna di queste strutture), la nostra critica, che abbiamo discussa con alcuni abitanti e appoggiata su una documentazione fotografica. Ed è con grande soddisfazione che, come Giacomo Sferlazzo ci ha recentemente informate, abbiamo saputo che quelle “strane fioriere” sono state rimosse: merito della sensibilità della nuova amministrazione e della nuova sindaca sensibile agli intrecci di relazioni quando queste mettono in moto l’assennatezza e l’intelligenza nell’interpretare e rispettare la bellezza, i luoghi e gli uomini e le donne che li vivono.


Il neo sindaco: Non si può più fare finta di niente

il manifesto 2012.09.08 - 05 SOCIETÀ

 

LAMPEDUSA




Il neo sindaco: Non si può più fare finta di niente


INTERVISTA - LUCE MANARA



 

Dicono che pochi mesi fa Lampedusa abbia voltato pagina con l'elezione di 

Giusi Nicolini, militante di Legambiente. E' vero. Ma c'è una «tremenda ordinarietà» che angoscia il sindaco del luogo più esposto d'Europa alle ondate migratorie. Le persone che muoiono in mare.

Se in qualunque altra parte d'Italia, e in altre circostanze, fossero morte non un'ottantina ma otto persone, il paese saprebbe mettere in scena lutto e disperazione. Queste morti invece quasi non contano. Ma come ci siamo ridotti così?
Sì, è vero. I morti in mare non si vedono, non c'è la fila di bare per commuoversi. Il nostro ormai è un paese incattivito da anni e anni di politiche sbagliate, non solo verso gli africani, cova un sentimento di ostilità verso chiunque viene percepito come diverso, contro i gay, contro i rom... Credo che tutti questi anni di retorica leghista abbiano pesato, sul piano politico e anche culturale, e la responsabilità non è tutta della Lega.

Si parla di ottanta scomparsi, una tragedia enorme, è così?
Difficile fornire numeri definitivi, ma purtroppo sì, risultano tantissimi scomparsi, le testimonanze dei sopravvisuti non sono precise ma più o meno concordano.

Lei dice che sul piano dell'accoglienza la situazione sull'isola è molto migliorata. In che senso? Il centro è monitorato? I migranti stanno meglio? Non c'è la tensione degli altri anni?
Nel 2011, un anno terribile, l'esasperazione sull'isola era altissima. Il governo Berlusconi stava facendo di Lampedusa un campo di concentramento a cielo aperto. Adesso nel centro di accoglienza si rispettano i tempi dei trasferimenti, non più di 96 ore. Gli stranieri sono ben assistiti. Il punto è che la politica dei respingimenti è stata accompagnata dalla distruzione della rete di accoglienza, in tutto il paese. Fino ad ora il ministro Cancellieri ha rispettato gli impegni presi, ma sono solo segnali, potremmo aspettarci di più. La natura giuridica dei Cie, per esempio, direi che è ai limiti, e anche oltre, della costituzionalità.

Gli sbarchi continuano?
Gli sbarchi ci sono sempre stati, arrivano gruppi più piccoli, se ne parla meno perché l'accoglienza funziona e non fa notizia. Lampedusa conviverà all'infinito con questo tipo di passaggi, è la storia e la geografia dell'isola, per cui dobbiamo attrezzarci per dare solidarietà e insieme garantire gli equilibri delicati della nostra piccola comunità. I lampedusani sono sempre stati solidali. Spesso si alzano all'improvviso alle 5 del mattino, pescatori, sub, semplici cittadini, e prendono le barche per soccorrere i migranti.

Che tracce lascia questa morte continua che arriva dal mare?
Pesanti. Il mare che inghiotte la vita di un essere umano, il naufragio, sono concetti universali, che lasciano il segno nel cuore.

Queste però non sono morti naturali. Sono le politiche criminali dell'Europa di Schengen a provocare questi massacri.
La responsabilità è dell'Europa che chiude le porte all'Africa. Queste morti non si possono evitare alzando muri, anzi, accade il contrario. Senza un cambio radicale delle politiche dell'immigrazione non se ne esce, non possiamo continuare a chiudere gli occhi davanti a questa tremenda ordinarietà.

I turisti non vedono i migranti. Ma vicino al porto c'è un «cimitero» delle barche naufrate. E' impressionante. Perché non trasformarlo in una sorta di installazione? Qualche minuto di raccoglimento non guasterebbe certo le vacanze ai turisti.
Ci avevo già pensato. Quelle barche tutte rotte raccontano storie terribili, abbiamo in mente di fare qualcosa del genere.